Anni difficili per il sistema bancario italiano, che oltre a subire l’indiscussa concorrenza straniera, esce con le ossa rotte dalla più grande crisi mondiale dopo quella del 1929, quella che avvenne dal 2008 in coincidenza dei mutui subprime e del fallimento di Lehman Brothers. Un evento, la bancarotta della prestigiosa società di private e investment banking, che ha segnato profondamente anche il mondo nostrano di Banca e Finanza, costringendo il risparmiatore ad alzare il livello di attenzione sui parametri di sicurezza dei propri istituti di credito.
Abituate a navigare nelle acque tranquille della finanza statale, le grandi privatizzazioni avvenute nell’ultimo decennio del secolo scorso hanno certamente scosso nel profondo le banche del Belpaese, portando a sensazioni di quasi ‘invincibilità’ di molti istituti bancari nell’illusione che le banche non potessero fallire (visto il rischio di generare crisi sistemica), portando così a una sostanziale irresponsabilità del management bancario, anche nazionale, verso gli obblighi di buona e sana gestione aziendale e reddituale.
COME CAPIRE SE UNA BANCA E’ SICURA?
Per stabilire se una banca è sicura, dal 2014 si ricorre al CET 1 RATIO, detto anche Common Equity Tier 1 o Tier 1 Capital Ratio che è un misuratore del capitale dell’istituto e che deve risultare più alto possibile.
Recentemente l’Università Bocconi ha messo a punto una classifica che potrebbe aiutare tutti gli stakeholders interessati a relazionarsi a un istituto di credito (e quindi, in particolare, gli eventuali clienti-correntisti), per capire quali siano le banche più sicure del Paese. Secondo la Bocconi le banche che avevano un rating più alto, sono risultate: 1. Intesa Sanpaolo (114 punti); 2. Ubi Banca (111); 3. Banco Popolare (101); 4. Credem (101); 5. Bpm (95); 6. Mps (85); Bper (85).
Montepaschi torna a livelli alti, pur essendo risultata la peggior banca europea dopo gli stress test del 2016 e aver ricevuto un pesante salvataggio governativo nel 2017 (cosa che l’ha praticamente resa pubblica), mentre i piani di salvataggio di Veneto Banca e Popolare di Vicenza sono costati ben 4,7 miliardi (oltre a un fondo di garanzia di altri 12mld), costringendo a politiche di lacrime e sangue da parte degli ultimi governi.
Oltre a queste, sotto l’attenzione e il controllo diretto della BCE-Banca Centrale Europea, si trovano Unicredit, Banca Popolare di Sondrio, Barclays, Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Mediobanca, cosa che dovrebbe portare ai correntisti e a tutti gli stakeholders maggiori garanzie di sicurezza e affidabilità (sapendo che Unicredit è poi l’unica banca italiana inserita nell’elenco delle banche mondiali a rischio sistemico, cioè di quegli istituti di credito che porterebbero a conseguenze molto negative, in caso di crisi, per il tessuto sociale ed economico del Paese).
In questo senso, oltre a parametri come rating e classifiche, può essere interessante valutare che i tre maggiori istituti nazionali (Unicredit come predetta ‘banca sistemica’, che ha attinto, oltretutto, nel 2017 a 13 miliardi di capitali di rischio a fini di aumento di capitale; Intesa e UBI come ‘salvatrici’ di altri istituti e di ottimo dividend/yeld) hanno conosciuto crescite notevolissime da inizio 2017 dal punto di vista del capital gain e del valore del titolo, e svolgendo un ruolo ‘sociale’ notevolissimo.
Negli ultimi mesi, la stessa Bocconi ha svolto poi per Corriere Economia una ricerca che prendesse in considerazione la patrimonializzazione dei primi 20 istituti bancari italiani, tenendo conto dei tre parametri più importanti (Cet1, Tier1, Total Capital Ratio; si veda sotto).
Le prime 20 banche per solidità (Fonte: Bocconi-Corriere Economia)
1) Mediolanum 20,40%; 20,40%, 20,50%.
2) Banco Popolare 14,85%; 14,85% 18,12%.
3) Bper 14,47%; 14,56%; 15,98%.
4) Credem 13,51%; 13,51%; 14,69%.
5) Intesa S.Paolo 12,80%; 14,10%, 17,20%.
6) Credito valtellinese 12,41%; 12,41%; 13,72%.
7) Carige 12,30%; 13,51%; 14,69%.
8) Mediobanca 12,10%; n.d.; 15,70%
9) Banca Sella Holding 11,97%; 12,11%; 14,17%.
10) BPM 11,73%; 12,18%; 14,11%.
11) UBI 11,68%; 11,68%, 14,55%.
12 MPS 11,49%; 11,81%; 14,29%.
13) Cariparma 11,30%, 11,30%, 13,30%
14) Popolare di Sondrio 11,22%, 11,25%, 13,83%.
15) Unicredit 11,00%; 11,81%; 14,50%.
16) Banco Desio e Brianza 10,95%; 11,08%; 13.65%.
17) Popolare di Vicenza 10,75%; 10,75%; 12,40%.
18) Veneto Banca 10,74%; 10,74%; 12,57%.
19) Popolare di Bari 9,65%; 9,65%, 12,81%.
20) Deutsche Bank 8,80%; 9,76%; 14,82%
LE BANCHE PIU’ CRITICHE
Questo per quanto sta ai primi della classe. Ribaltando il punto di vista, le banche più a rischio di default nel 2018 sono la Banca delle Marche, Banca Etruria, Carichieti e Cariferrara, da tempo in crisi pesante e sottoposte perciò a commissariamento. Al 13 febbraio 2018 si aggiungono, ai nomi detti sopra, l’Istituto per il Credito Sportivo, la BCC di Civitanova e la Banca di sviluppo Economico. Con loro il Governo ha sperimentato per la prima volta un parziale bail-in, cioè quella ‘cauzione interna’ che permette di risolvere una eventuale crisi bancaria coinvolgendo direttamente – e forzosamente – azionisti, obbligazionisti e correntisti della banca stessa (la cosa tuttavia si applica solo per depositi superiori a 100mila euro e non a patrimonio dei clienti che la banca abbia in semplice gestione – e quindi non ad azioni, obbligazioni, titoli di terzi custoditi dall’istituto in difficoltà su un conto titoli specifico).
Oltre alle suddette, due istituti come Banca Carige e Credito Valtellinese hanno conosciuto a inizio 2018 un periodo di grande travaglio coinciso con sanguinosi aumenti di capitale rispettivamente di 544 e di 700 milioni di euro.
L’aumento di capitale è per principio un’operazione che deve far scattare il campanello d’allarme per lo stakeholder (cioè per qualsiasi soggetto che abbia interessi di qualsiasi tipo nei confronti di un’azienda, soprattutto in ambito creditizio – e sopratutto per le public companies, cioè quelle quotate in Borsa). Se da un lato parametri come buyback (cioè acquisto di azioni proprie) ed eventuale annullamento delle stesse, fanno sperare che i flussi finanziari di un impresa siano sani e che inducano perciò a ridurre il flottante (e quindi il valore intrinseco di un titolo e dell’aziedna stessa), gli aumenti di capitale sono in genere operazioni costosissime, soprattutto per quanti detengano posizioni azionarie.
I CRITERI PER SCEGLIERE UNA BANCA SICURA
Scegliere la banca più sicura diventa quindi un imperativo importante, visto che apparentemnete le banche sembrano tutte affidabili e solide (e che quando si sentono notizie di problemi spesso è ormai troppo tardi per correre ai ripari). I parametri più importanti a cui prestare attenzione, a fini di patrimonializzazione, sono il Patrimonio di Vigilanza e il Rating stabilito dalle società specializzate.
Nel caso del Patrimonio di Vigilanza si guarda la quantità di investimenti fatti in relazione al patrimonio e perciò si emette un Core Equity Tier 1 Tatio (o CET1 Ratio, accennato sopra) che dovrebbe essere, come minimo, dell’8% (almeno nell’Eurozona). Questo parametro indica che la banca potrebbe effettuare investimenti ponderati al rischio superiori a 10 volte il proprio capitale.
Invece il Rating, cioè i ‘voti’ forniti dalle celeberrime Moody’s o Standard & Poors – sia pur al centro di polemiche sempre maggiori per via della presunta soggettività e della presunta scarsa trasparenza nei criteri di giudizio – danno un’indicazione sulla capacità della banca di ripagare il debito proprio: in questo caso le maggiori garanzie si dovrebbero ottenere dalle aziende di credito con voto più alto rispetto alle altre.
Diamo infine una personale e soggettiva classifica sulle migliori banche anche in relazione al dividend/yeld borsistico (cioè guardando ai valori fondamentali dell’azienda stessa), basandoci sulla banale riflessione che, se una public company paga ottimi e crescenti dividendi – al di là di una possibile e miope strategia del management di liquidare risorse per attirare investimenti – questo parametro indichi in realtà un’ottimo stato di salute, soprattutto quando è coniugato a una politica di dividendi in crescita costante come hanno dimostrato le migliori quotate di Milano.
In questa classifica ideale, tra le prime 20 Dividend Aristocrats della Borsa italiana nel 2018 (cioè tra le aziende che pagano più alti dividendi agli azionisti), ben 7 sono banche (prezzi rilevati a fine 2017 per dividendi pagati in primavera 2018; il numero indica la posizione di ciascuna nella classifica generale delle prime venti):
1) Banca Farmafactoring 7,9%
2) Intesa S.Paolo 7,2%
4) Poste Italiane* 6,4%
10) Mediolanum 5,3%
11) Unipol 4,8%
12) Banca Generali 4,6%
15) Mediobanca 4,3%
*NB: vista la capillarizzazione degli sportelli e l’offerta dei vari ‘prodotti’ postali e bancari, ivi comprese carte di debito e conti correnti di Poste Italiane, abbiamo deciso di includere l’Azienda in questa speciale classifica ‘bancaria’, nonostante la peculiare connotazione aziendale dell’azienda, cosa che la rende una banca sui generis.